Stamattina mi sento come Barney Panowsky (La versione di Barney, Mordecai Richler, Adelphi, 2007): non ricordo il nome delle cose e delle persone. E soprattutto non ricordo perché ho messo la sveglia. Passano dei minuti. Poi riacquisto due delle mie tre complessive funzioni vitali, le croste notturne si staccano e riemerge lentamente qualche brandello di umanità.
Essere al contempo padre di famiglia, marito devoto e accanito bevitore si è rivelata nel tempo legge tricotomica non sempre vera. Innumerevoli i tentativi di conciliazione, tra cui la dotazione di un Ford Nugget allestito Westfalia per le gite fuori porta o le fughe verso luoghi viniferi. Vini di Vignaioli è tra questi. Il sito parla di Baby Parking. La moglie accetta, io punto la sveglia alle sette e trenta. Ecco perché.
Il viaggio della rediviva Famiglia Bradford si snoda sulla direttrice est-ovest. Prima tappa Isola Dovarese (Cremona), dove renderò omaggio alla piazza gonzaghesca in cui ho bevuto il mio primo Chateau Musar, il mio primo Poulsard Arbois Pupillin di Pierre Overnoy e il mio primo Rosé de Saignée Beaudiers di Laherte Freres. Chi se ne frega direte. Vero. In realtà è un’informazione preziosa. Innanzitutto perché il luogo vale un detour e poi perché significa che su quella piazza tra Mantova e Cremona, quei vini qualcuno li vende. Oggi berrò la mia prima Macchiona di La Stoppa, azienda che ritroverò poi a Fornovo. De La Stoppa conoscevo l’Ageno (Malvasia di Candia Aromatica 60%, Ortrugo e Trebbiano 40%) e il Gutturnio (ora Rosso e Rosso Frizzante). La Macchiona del 2005 (Barbera e Bonarda in egual misura) è vino corposo (?), risultato di una vinificazione naturale che prevede l’utilizzo di lieviti indigeni e lunghe macerazioni (30 giorni ca.). Perfetto col mio bollito misto. Della splendida azienda di Ancarano (Piacenza) condotta da una donna del vino (Elena Pantaleoni), si racconta tanto bene in “Senza Trucco” di Giulia Graglia. Inutile aggiungere altro.
Compongo per la terza volta il numero di telefono della Proloco di Fornovo. Voglio ottenere informazioni utili per la tipologia di gruppo sociale che sto rappresentando: famiglia con bimbi piccoli. Nisba. Nobody answers. Ore 16:00: arrivo a destinazione. Molte le indicazioni per arrivare nel sito in cui si tiene la manifestazione. Nessuna con la maledetta freccia. Simbologie superate. Davanti all’ingresso è parcheggiata un’auto da corsa. Una monoposto col simbolo della manifestazione. Qual è il nesso? Quesito fazioso. Paghiamo i ridicoli dieci euro del biglietto, veniamo dotati di bicchiere ed entriamo. Chiedo subito del baby parking. Vengo osservato con curiosità. Mi si indica un luogo adiacente alla tensostruttura. Uno scivolo, un’altalena, una giostra rotante verso cui si proiettano le mie due baby. Solo che il parking non c’è. O almeno io non riesco ad attribuire alla definizione “Parco Giochi” l’anglosassone concetto di Baby Parking.
Colpa mia. Mia moglie mi guarda. Non dice parola, non serve. “All’improvviso ho visto la mia morte sul suo viso” (Mi ritorni in mente, Lucio Battisti, Dischi Ricordi, 1969). Quello che segue è un alternarsi di tormento ed estasi, assaggi prodigiosi e bimbe appese al banco della Pasticceria Quagliotti, incontri bellissimi e inseguimenti tra e sotto i tavolini. Finita la serata, rientrati nel Nugget, riscaldata la zuppa coi ceci Knorr e bevuto l‘ottimo Gamay di Julien Guillot acquistato poco prima, stremato mi sono posto alcune domande.
Su tutto mi sono chiesto per chi viene organizzato Vini di Vignaioli. A chi è destinato? È pensato per un pubblico di semplici appassionati o per il popolo itinerante della domenica? È un’ occasione d’incontro per gli addetti ai lavori o è un’opportunità pensata per i produttori così da favorire l’incontro con nuovi potenziali clienti? È un’occasione di confronto e scambio tra produttori di vino naturale o è un modo per divulgare ed informare il pubblico sulle pratiche di produzione del vino tradizionale/biologico/biodinamico/ naturale?
Se nelle intenzioni degli organizzatori ci fosse coprire assieme tutte queste diverse possibilità, allora a parer mio l’obiettivo è più grande del tendone montato per l’occasione. Non conosco i numeri della manifestazione, a cui per inciso auguro ogni bene, ma posso dire che l’afflusso è stato importante e non dubito che anche quest’edizione (la decima) sia stata un successo. Non è allora forse giunto il momento di fare uno sforzo ulteriore, oltre a quelli già ampiamente profusi, per rendere più accogliente questa splendida occasione? Su tutto ho un’ immagine che fotografa meglio di ogni altra quel po’ di frustrazione vissuto quel tardo pomeriggio parmigiano. Io con un Barolo di Cappellano del 1998 nel bicchiere, Augusto che con disponibilità rara si offre a scambiare parole gentili con non meno di venti persone contemporaneamente, mia figlia che tenta il tuffo dentro al secchio (ops sputacchiera) posto davanti al tavolino.
Il giorno dopo avrei dovuto assistere alla tavola rotonda sui solfiti assieme a Fiorenzo Sartore. Mi sarebbe anche piaciuto, credo, ma i disagi sopportati il giorno prima imponevano una contrattazione. Mentre la famiglia votava a maggioranza relativa la gita culturale io, sveglio da poco, guardavo sospettoso volti sconosciuti e cercavo di capire cosa diavolo ci facessi in un sacco a pelo piuttosto che nel mio confortevole letto di casa.
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