Se l’annata 2013 è così buona, perché si ricorre al mosto concentrato?

Se enologi del calibro di Riccardo Cotarella dichiarano su ogni media disponibile che la vendemmia 2013 sarà eccellente, l’atteggiamento generale potrà variare dal cauto ottimismo allo sfrenato entusiasmo, ma non potrà accettare voci dubbiose, pena il rischio letale di passare per Cassandra rompipalle. Però, se invece di ascoltare dichiarazioni trionfali, andiamo a cercare indizi tra le anse burocratiche di documenti formali apparentemente privi di interesse, si possono scoprire verità impermeabili alle accuse di disfattismo antienopatriottico. Verità, ad esempio, come quelle espresse nella Determinazione DH27/174 del 27 agosto 2013 emanata dalla Direzione politiche agricole e di sviluppo rurale, forestale, caccia e pesca, emigrazione (?) della Regione Abruzzo.

Oggetto: Autorizzazione, per le produzioni viticole della Regione Abruzzo, all’aumento del titolo alcolometrico volumico naturale dei vini senza DOP/IGP, dei vini varietali senza DOP/IGP, dei vini DOP, dei vini IGP e dei vini spumanti. Campagna vendemmiale 2013/2014.

Con questa Determinazione la Regione Abruzzo – ma la Regione Marche e molte altre regioni hanno deliberato in modo del tutto analogo – attesta che “lo stato dell’attività vegetativa della vite, lo stato di maturazione delle uve e l’evolversi dell’andamento climatico ad agosto, fanno supporre la necessità, dal punto di vista tecnico, di autorizzare l’aumento del titolo alcolometrico volumico naturale delle uve fresche, del mosto di uve, del mosto di uve parzialmente fermentato e del vino nuovo ancora in fermentazione fino ad un limite massimo di 1,5 % vol, utilizzando mosto di uve concentrato o mosto di uve concentrato e rettificato.”

In altre parole, in forza di un andamento climatico che non avrebbe portato le uve alla giusta maturazione, si autorizza l’aumento della gradazione alcolica con qualche “aiutino”, ovvero l’aggiunta di mosti concentrati e rettificati (un liquido zuccherino vischioso ottenuto da disidratazione del mosto d’uva). Ma come? Non era questa un’annata eccezionale? Perché aprire l’ombrello se fuori splende il sole?

In realtà mentre i produttori più attenti alla qualità hanno scelto di correre qualche rischio, e hanno atteso che l’uva in pianta raggiungesse la giusta gradazione zuccherina, molti altri invece, preoccupati da un ritardo di 15 giorni sulla maturazione del frutto – che peraltro riallinea l’epoca di vendemmia ai bei tempi passati – hanno preferito la via più sicura vendemmiando uve ancora acerbe, di qualità insoddisfacente, destinate a originare vini con acidità sbilanciate, verdi, tutt’altro che equilibrati. Insomma, bastava aspettare; ma perché dopo un’annata tanto tribolata si deve rischiare, quando sui media c’è chi si occupa di far girare voce sull’ennesima annata straordinaria e le istituzioni avallano il ricorso agli arricchimenti? Tanto mica si perde la DOC per aver utilizzato un additivo perfettamente legale. Sorge così il dubbio maligno che oltre ad assecondare i timori dei produttori, tutta ‘sta disinvoltura abbia a che fare con l’eccesso di produzione di uva (qualunque uva, prodotta in qualunque luogo) trasformabile nei mosti concentrati e rettificati (che per inciso costano il 75% in più dello zucchero utilizzato dai francesi per ottenere lo stesso risultato) così necessari al mercato. Cattiverie.

E il vino? A prescindere dalla valutazione etica o politica che si vuole trarre dall’utilizzo di questo tipo di pratiche, la domanda è: come saranno i vini prodotti con uve non mature e addizionati con questi mosti? Certo si può immaginare che dovranno essere disacidificati, non avranno probabilmente raggiunto la maturazione fenolica e pertanto non avranno sviluppato tutte le componenti organolettiche; saranno caratterizzati da una concentrazione proteica elevata che renderà quasi indispensabile una filtrazione pesante ed una faticosa chiarifica; sarà insomma un vino decisamente tecnico. Sarà il tratto distintivo dell’annata? Certo che no. Sarà un’annata straordinaria, come la precedente, quella prima ancora e via risalendo, come no?  La verità – udite, udite – è che sapremo dell’annata 2013 forse tra un anno, dopo un po’ di bottiglia e i soliti abbagli. Ma vaticinare della qualità di un’annata prima di avere quantomeno visto le uve in cantina, significa disinteressarsi del ciclo naturale della vite consapevoli della disponibilità di strumenti per la correzione dei difetti e della conseguente omologazione del gusto.




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