Agli italiani piacciono i vitigni più che le denominazioni, ammettiamolo. A differenza dei francesi, che con 10 varietà si smazzano il grosso della produzione vinicola affidando le loro fortune alle zone di produzione, noi impazziamo per il pecorino, la cococciola e il biancone di Trepuzzi (uno dei tre è falso) arrivando ad apprezzare il vermentino piantato in Puglia e l’aglianico delle Valli Orobiche. Insomma, l’autoctono ci piace e da quando abbiamo scoperto che piace anche agli ammeregani, ci piace ancor di più.
A questo punto una domanda è d’obbligo: quali sono i vitigni più coltivati in Italia? Tu guarda la combinazione! Proprio ieri il Corriere Vinicolo ha pubblicato la classifica delle trenta tipologie d’uva più coltivate (elaborata su dati Istat) e noi, curiosi come le scimmie, ci siamo tuffati nella lettura che, dobbiamo dirlo, riserva qualche sorpresina.
Al primo posto, stabile come una roccia, c’è Sua Maestà il Sangiovese, coltivato da nord a sud senza quasi eccezioni. Al secondo ci sarebbe l’altrettanto onnipresente trebbiano ma la classifica distingue tra diverse varietà (toscano, romagnolo, abruzzese) per cui il nostro galleggia nelle posizioni di metà classifica. Il totale degli ettari coltivati è considerevole, parliamo di 56.946 ha, quindi subito sotto il sangiovese. La piazza d’onore reale è del montepulciano ma la sorpresa vera arriva dalla terza posizione di Mr. Catarratto con 34.794 ettari coltivati quasi esclusivamente in un’unica regione: la Sicilia. D’accordo, è una delle uve più coltivate e col catarratto ci si fa il Marsala ma, tutto sommato, sembrano tantini considerando anche il calo di ettari vitati negli ultimi 10 anni (-16.000).
Dopo il vitigno siculo, il primo alloctono della serie. Oddio proprio un estraneo il merlot non è, e il Veneto docet. Per per lui c’è un leggero aumento in dieci anni della superficie coltivata e siamo a circa 28,042 ettari. Il primo vero straniero in terra italica è lo chardonnay, che in dieci anni ha rinforzato le posizioni piazzandosi a 19.709 ettari di coltivazione, seguito a poca distanza dal “vitigno preferito dagli enologi”, Sua Prezzemolosità il cabernet sauvignon che si attesta in 12 posizione con “appena” 13.724 ettari. Tutto sommato pochini visto che non c’è doc italiana che possa dirsi esente dai miscugli migliorativi degli ultimi anni. Un atroce dubbio m’assale: non è che in tanti lo coltivano ma in pochi lo dichiarano? Vabbè, dubbi da Nas più che da blogger, per cui procediamo spediti verso la coda della classifica non senza notare che il prosecco (8°posto) ha più che raddoppiato in dieci anni la superficie coltivata passando dagli ottomila circa del 2010 ai 19.621 ha del 2012: un botto, praticamente, che spiega il successo internazionale della nostra bollicina più venduta.
Coda della classifica senza grandi sorprese con tanti autoctoni e un paio di estranei che rispondono al nome di pinot nero e syrah che da solo, zitto zitto, quintuplica la pur scarsa prestazione passando di colpo a 6.739 ha vitati.
Tiriamo le somme con una punta di cattiveria: il vitigno autoctono italiano, nonostante l’assalto degli internazionali, c’è e gode di ottima salute ma a me questa puzza di peperone che sento un po’ in tutti i vini non mi convince affatto…
[Fonte: Corriere Vinicolo]
[Foto: Rauscedo]
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