Nell’Emporio di Bologna si sta benissimo ma non ditelo a nessuno

Non ero sicuro di voler scrivere questo post perché non sempre le migliori scoperte si vogliono condividere. C’è un po’ di quel sano istinto di autoconservazione che fa tenere a freno la lingua, ché se lo dici sarà l’assalto e piombi di nuovo nel girone degli affollati. Poi però ti ricordi che la bellezza salverà il mondo, che il karma va messo a posto, e che il direttore non ha tue notizie da un po’. Dunque stavolta lo scouting riguarda Bologna, dopo la breve incursione in Valle d’Aosta sono tornato a scandagliare l’ovile, in cerca di piccole chicche degne di nota. Anche perchè nel tripudio dell’offerta eno-gastronomica sotto le due torri, si comincia a fare una certa fatica a uscire dai tracciati turistici del centro storico, e soprattutto da una certa omologazione. Si fa presto, insomma, a trovare un buon tagliere di salumi e formaggi e un buon calice da farci aperitivo, ma la ricerca è un’altra cosa e si avvale di narrazioni e contesti diversi.

Come quello di una bottega ad esempio, anzi, di un emporio, precisamente dell’Emporio di via Saragozza 58, dove è possibile sperimentare che il lavoro e la mano dell’artigiano fanno sempre la differenza. Si parte dalla ridefinizione dello spazio: solo 1 tavolino per 4 persone e qualche sgabello, il banco frigo con i formaggi, dietro tutti i salumi da affettare e a fianco quelli da affinare, alle pareti gli scaffali con i vini e una selezione di altre prelibatezze. Si sta stretti, si sentono i profumi, si possono ascoltare i discorsi e si accendono i pensieri, perchè Nik, il proprietario, tiene banco e racconta tutto, con un trasporto che ti tiene sospeso, anche se si parla di una salama da sugo. Già perchè i salumi, qui, raggiungono un livello di definizione e di complessità quasi commovente, si scopre una gamma di sensazioni impensabile per un palato assuefatto dall’ordinario. Le componenti di questa formula perfetta sono: selezione talebana della materia prima direttamente da piccoli produttori artigiani, il giusto tempo per l’affinamento in bottega e una passione viscerale a rifinire il tutto.

Dalla culaccia al culatello, dalla spalla cruda al lardo, dalla pancetta al salame rosa è interessante essere guidati in una gamma di aromi che va dal fieno alla nocciola, dalle spezie all’affumicato. In bocca il filo conduttore è la succulenza e una scioglievolezza quasi burrosa che patina il palato e crea dipendenza. A completare l’idillio c’è il vino che, guarda caso, si attesta su una selezione di piccoli produttori naturali e, tra questi, si è attivata un’affinità elettiva tra me e la Barbera 2013 di Maria Bortolotti.

Siamo sui colli bolognesi, un territorio a prevalenza bianchista che negli ultimi anni sta cercando di affermare una propria identità più sfaccettata e meno monotematica. Non solo pignoletto insomma e, in questo caso, la barbera si fa carico della sfida. E’ uno di quei vitigni presenti da sempre su queste colline, è generoso ma ostico, perché addomesticare tanta materia e acidità non è facile. Certo, la vendemmia tardiva aiuta a smussare le asperità e a concentrare tutto: profumi, sapori, ambizioni.

Sul retro-etichetta c’è scritto “La natura ama nascondersi”, almeno finché non viene colta nella sua più esaltante integrità. Questo vino è schietto, avvolgente, è un vino di bocca non di testa, esplicito sia nel frutto, una marmellata di visciole, sia nell’elegante ossidazione che lascia spazio a note speziate, di cioccolato, vanigliate e tostate. In bocca riesce a mantenere un equilibrio di contrasti ammirevole: acidità in perfetto bilanciamento con la componente alcolica, tannino fittissimo ad arginare la grande sapidità. Gustoso e appagante come tutta l’esperienza all’Emporio, perché dicono che le botteghe sono morte e allora lunga vita alle botteghe!




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